Indicazione Geografica Protetta

I produttori della zona, avendo capito che l'unica via da seguire per non essere travolti dalla globalizzazione dei mercati, era quella di ottenere per le loro ciliegie una qualità certificata, hanno colto l'opportunità offerta dai Regolamenti UE n. 2081-2082/92 che permettono di istituire a livello comunitario i marchi IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOP (Denominazione di Origine Protetta) allo scopo di tutelare e valorizzare i prodotti tipici locali che presentino particolari caratteristiche di qualità e tipicità, attraverso specifiche normative.

La denominazione di origine, infatti, necessita di una certificazione e di un controllo al fine di garantire il rispetto delle procedure produttive previste, da un lato a tutela dei coltivatori nei confronti della concorrenza sleale di chi propone prodotti similari e, dall'altro, a tutela dei consumatori sulla garanzia della qualità del prodotto acquistato. Tale tipo di controllo viene effettuato da un ente terzo (nel nostro caso dal C.S.Q.A. di Thiene) proprio a garanzia della qualità e della salubrità dei prodotti che hanno ottenuto la certificazione.

Il Disciplinare di Produzione approvato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, in data 8 maggio 2000, e sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. 113, il 19 aprile 2001, prevede in tal senso norme precise sinteticamente riportate di seguito.

Il riconoscimento al Consorzio Cooperativo Ortofrutticolo di Mason Vicentino contempla innanzitutto una piattaforma varietale ben precisa. La denominazione Ciliegia di Marostica, infatti, designa i frutti ottenuti dalla coltivazione delle seguenti varietà:
- Precocissime: Sandra e Francese, quest'ultima ascrivibile alla varietà Bigareaux, Moreaux e Burlat;
- Medio precoce: Roana e il durone precoce Romana;
- Tardive duracine: Milanese, Durone Rosso (Ferrovia simile) e Bella Italia, Sandra Tardiva;
- e inoltre le varietà: Van, Giorgia, Ferrovia, Durone Nero I, Durone Nero II, Mora di Cazzano, Ulster.

Anche la zona di produzione della Ciliegia di Marostica è ben definita. Essa comprende, infatti, i territori dei seguenti comuni in provincia di Vicenza: Salcedo, Fara Vicentino, Breganze, Mason, Molvena, Pianezze, Marostica, Bassano, limitatamente al territorio che si estende alla destra idrografica del fiume Brenta e infine la parte del comune di Schiavon così delimitata: a est della statale per Vicenza, la porzione a nord di via Olmi fino all'altezza di via Vegra; a ovest della statale per Vicenza, la porzione a nord di via Roncaglia Vecchia.

A proposito delle caratteristiche qualitative che il prodotto deve raggiungere, in riferimento alla calibrazione, essa non può essere inferiore a 20 mm, in termini di colorazione invece, essa dovrà in generale essere: rosso fuoco/rosso scuro per le ciliegie appartenenti alle varietà Francese, Sandra, Durone Rosso, Milanese, Ferrovia, Mora di Cazzano, Romana; rosso scuro per le altre varietà. È comunque consentita una tolleranza nella calibrazione e colorazione del 10% in numero o in peso.

L'ultima parte del disciplinare è dedicata infine al confezionamento, regolato attraverso le seguenti disposizioni generali relative alla presentazione:
- per essere ammesse al consumo, le ciliegie dovranno essere confezionate in apposito contenitore con una capacità della minima unità commercializzabile pari al massimo di 10 kg di prodotto;
- il contenuto dell'imballaggio deve essere omogeneo, con ciliegie di uguale qualità e varietà;
- i materiali utilizzati all'interno dell'imballaggio devono essere nuovi, puliti e di sostanze che non possono provocare alterazioni esterne o interne dei prodotti.
All'esterno di ogni imballaggio devono essere apposte con indicazione diretta o con apposita etichetta le seguenti indicazioni: CILIEGIA DI MAROSTICA -IGP (con apposito logo approvato), con indicati: nome, ragione sociale e indirizzo del confezionatore, nonché la data di confezionamento.

È giusto ricordare come questo importante obiettivo sia stato raggiunto grazie alla volontà e alla collaborazione del Consorzio Ortofrutticolo di Mason Vicentino, della Coldiretti, del Centro Quadrifoglio, dei comuni interessati, della Comunità Montana, della Provincia, della Camera di Commercio di Vicenza, dell'Azienda Speciale Vicenza Qualità e della Regione Veneto.

Caratteristiche del prodotto

Alcune varietà di maggior interesse commerciale, quali la Sandra, la Romana, le Francesi, i Duroni Rossi, dal caratteristico sapore dolce, si distinguono per la particolare brevità dell'intervallo allegazione-maturazione, della durata di soli trenta giorni, ma, allo stesso tempo, per l'ottima pezzatura dei frutti che, normalmente, raggiungono calibri dell'ordine dei 24-26 mm, e in partite di primissima scelta possono superare anche i 28-30 mm.

La particolare velocità di crescita e maturazione riduce l'esposizione agli agenti ambientali e agli attacchi parassitari, soprattutto della mosca delle ciliegie, con conseguente limitazione degli interventi di difesa sanitaria e la produzione di drupe qualitativamente migliori. La maggior parte delle varietà coltivate è caratterizzata, inoltre, da un'elevata conservabilità e da una buona resistenza alle manipolazioni, facendone un frutto particolarmente adatto all'esportazione.

La ciliegia durona di Chiampo

img 20140612 185758Nella valle del Chiampo la coltivazione del ciliegio è attività documentata fin dall’epoca medievale, assurta a rilevanza commerciale attorno alla metà del Novecento, con specifico riferimento a una ‘durona’ di selezione locale, protagonista di una popolare Mostra delle Ciliegie fin dal 1961. Trattasi di un frutto di pezzatura grossa, del peso di circa 7 grammi, di forma sferoidale (leggermente più appuntita dell’analoga Mora di Cazzano), con peduncolo sottile di media lunghezza e buccia di colore rosso intenso; molto resistente alle manipolazioni, la Durona di Chiampo ha polpa soda e poco aderente al nocciolo, di ottimo sapore. La produzione riguarda tutto il territorio del comune titolare, con particolare riferimento ai suoli dei versanti in calcari marnosi e il suolo formatosi su vulcaniti basiche rivolti verso sud. I frutteti hanno densità variabile a seconda che si scelga un impianto a vaso (con il limite di 300 piante ad ettaro), fitto (1500 piante per ettaro) e superfitto (5000 piante per ettaro), fermo restando che le chiome di alberi contigui devono comunque essere tra loro separate, arieggiate e ben illuminate. Gli interventi antiparassitari sono ispirati ai criteri della difesa integrata, ovvero solo in caso di provato bisogno e con sospensione durante il periodo della fioritura per salvaguardare il patrimonio apistico locale.La raccolta si effettua manualmente, dopo la terza decade di giugno, durante le ore fresche del giorno, procedendo alla cernita dei frutti, che dovranno avere diametro minimo di 24 millimetri e conservare il peduncolo. Il consumo è previsto entro cinque giorni dalla raccolta. Nel 2010 si è tenuta a Chiampo la Mostra Nazionale delle Ciliegie, evento itinerante tra i comuni dell’Associazione Nazionale Città della Ciliegia, e proprio in tale circostanza la Durona di Chiampo ha conseguito il premio di “Miglior Ciliegia”.

 

Mele e pere di Lusiana

pomo peroLa Pedemontana dell’Altopiano di Asiago conserva una scenario agrario tradizionale, con boschi, pascoli e colture a pieno campo che trovano complemento nelle colture d’orto e frutteto.

Questa invidiabile situazione ha consentito in particolare la conservazione di alberi da frutta altrove sostituiti da varietà d’importazione, magari più produttive ma senza dubbio di caratteristiche omologate. Questo patrimonio vegetale in certi casi ammonta a poche o singole piante per varietà, comunque significative per tentare una ricostruzione della geografia dei sapori della tradizione.

La fascia climatica della Pedemontana favorisce soprattutto la diffusione del melo e del pero, dei quali in effetti si registrano decine di cultivar locali, dalle caratteristiche più varie, quale precoce e quale serbevole, quale da conserva e quale da cottura. Il loro recupero, di fattoria in fattoria, è merito di un maresciallo della forestale, Antonio Cantele, che ha dedicato gli anni del congedo a questa missione.

Il risultato più immediato è una manifestazione unica nel suo genere, «Pomo Pero», che si tiene in autunno, quando è possibile radunare i frutti di decine di varietà per stupire e al tempo stesso sensibilizzare i visitatori sull’urgenza di salvaguardarle.

Quanto al futuro, grazie anche alla DeCO, si conta di restituire dignità commerciale a quante più antiche mele e pere della Pedemontana.

ESPOSIZIONE durante la manifestazione "Pomo Pero"
DEGUSTAZIONE nei ristoranti della zona.

L'olio di Nanto

A diffondere l'ulivo in tutta Italia, anche alle soglie delle Alpi, furono i romani; ma determinante in Veneto è stata l'azione dei dogi che, volendosi cautelare dalle mattane dei grandi produttori mediorientali, impiantarono questa pianta in tutte le zone favorevoli dell'entroterra.

Oggi nel Vicentino, che rappresenta una delle stazioni più settentrionali della coltura, si contano oltre 40.000 piante, in prevalenza della varietà Frantoio, per una produzione di circa 500 quintali d'olio all'anno. Due le zone tipiche: le Colline Bassanesi e i Colli Berici, con fulcro rispettivamente a Pove del Grappa, che festeggia l'ulivo ai primi di aprile, e a Nanto, dove l'abbinata olio-tartufo tiene banco a metà luglio. La qualità del prodotto, stando anche alle analisi, è ottima: i colli e il pedemonte vicentino sono terra ideale per l'ulivo tant'è che solo di rado si fa ricorso a trattamenti antiparassitari.

L'olio di Pove, "conca degli olivi"

Pove del Grappa è un paese di poco più di 3.000 abitanti adagiato ad anfiteatro ai piedi del versante sud-ovest del massiccio che dal 1948 compare nella denominazione ufficiale del comune.Anche se il nome del paese sembra derivi con tutta probabilità dal latino povoledum, ossia pioppeto, è un altro albero a caratterizzarne oggi.

Pove del Grappa e l’olivo formano infatti un connubio indissolubile talmente questa pianta connota il paesaggio di questo piccolo paese posto alle pendici del Monte Grappa. Componente fissa del paesaggio agrario, l'olivo viene anche usato come pianta ornamentale: la gente ha per questa pianta un'affezione innata che spinge a coltivarla in ogni ritaglio di terreno. Le oltre 20.000 piante d’olivo coltivate a Pove del Grappa gli valgono la denominazione di “Conca degli Olivi” e il diritto di far parte delle “Città dell’Olio d’Italia”. Oggi gli olivi a Pove hanno trovato una larga diffusione vista la particolarità del clima che caratterizza il paese; si tratta infatti di un’area molto ventilata, solitamente senza nebbia e ristagni di umidità.
L’alta qualità del prodotto si deve anche alla composizione dei terreni di coltura, che, posti ai piedi dei massiccio del Monte Grappa, sono derivati da conglomerati poligenici, intercalati da fasce sabbiose o marmose-argillose.

Pove rientra nella zona di produzione dell’ ”Olio Veneto del Grappa” che ha ottenuto dalla Comunità Europea il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta nell’ottobre 2001. Quest’olio si caratterizza per il colore verdeoro con modeste variazioni del giallo, bassissima acidità, odore fruttato di varie intensità e sapore fruttato con sensazione di amaro per gli oli freschi.

testo http://www.comune.pove.vi.it/web/povegrappa

L’olio extravergine d’oliva vicentino: dai Berici al Grappa

olio di olivaIl 45° parallelo, che attraversa la pianura Padana, è indicato come limite superiore dell'areale dell'olivo e questo spiega perché la sua coltura in Veneto dipenda da condizioni ambientali particolarmente favorevoli: come sul versante orientale dei Colli Berici, con epicentro a Nanto, dove la flora spontanea è addirittura di tipo mediterraneo, o sulla Pedemontana del Grappa, dove la collina di Pove gode di una situazione climatica particolarissima. Queste, le due zone storiche dell'olearia vicentina, riconosciute nell'ambito della Dop Veneto con le sottodenominazioni geografiche Colli Berici-Euganei e Grappa.

Poi, c'è una realtà olearia diffusa di pari passo alla vigna: nella Pedemontana dell'Altopiano di Asiago e sulle propaggini occidentali dei Monti Lessini, rispettivamente nelle zone dei vini Doc Breganze e Gambellara. La composizione dell'oliveto vede la prevalenza delle varietà più resistenti al freddo con apporti caratterizzanti di varietà locali: nel Grappa, Frantoio e Leccino (con apporti di Grignano, Pendolino, Maurino, Leccio del Corno e Padanina); nei Colli Berici, Leccino e Rasara (con apporti di Frantoio, Maurino, Pendolino, Marzemino, Riondella, Drop e Matosso).

Lesso e bollito nella tradizione vicentina

Bollito classico009Si rende fin da subito necessaria una precisazione linguistica riguardo i termini “bollito” e “lesso”, che di primo acchito possono sembrare sinonimi. Che sia chiaro, la distinzione che si va a fare si riferisce all’opinione prevalente, che non dev’essere riduttiva delle interpretazioni locali e talora personali di questo o quel gastronomo. Ciò premesso, il sostantivo “bollito” va inteso come forma abbreviata di “bollito misto” con riferimento a un piatto di carni e insaccati cotti in acqua. Per la sua stessa composizione, che comporta una quantità minima di carni piuttosto notevole, il bollito misto è un piatto da festa familiare o da ristorante, dove di solito viene servito in apposito carrello riscaldante, con brodo e salse.
Quanto al “lesso”, si tratta invece del singolo pezzo di carne, bollito con la finalità di ottenere un brodo della più ricca sostanza, destinando la polpa a un consumo secondario. Salvo rare eccezioni il bollito misto è preparazione caratteristica delle regioni di storica tradizione nell’allevamento bovino.

In Italia si parla anzi di “mezzaluna del bollito”, ovvero dell’area formata dalle regioni della grande casearia padana: Piemonte, Lombardia e Veneto allineate sulla linea d’ombra ed Emilia Romagna a disegnare la curva esterna di questa ideale mezzaluna. Le relative ricette evidenziano che la composizione del bollito misto ha dei punti fissi: sono previsti infatti particolari tagli di manzo, magri e semigrassi, ed alcune parti di vitello, specie del quinto quarto (testina, lingua, coda, zampino), con l’aggiunta del cotechino come primo insaccato da bollito.
Certo, varcando i confini regionali, si colgono sensibili differenze: nella scelta dei tagli, ma soprattutto nelle salse di accompagnamento e nelle verdure di contorno. Il viaggio a volo d’uccello sugli orizzonti del bollito segue il corso del Po e parte considerando una formidabile razza da carne, la Bianca Piemontese, bovino di genealogia remota e straordinaria esuberanza muscolare, che sul finire dell’Ottocento ha espresso un esemplare addirittura eccezionale, capostipite dell’odierna razza da carne a “coscia doppia”.

carrello bollitoVarcato il confine con il Veneto, il bollito misto si distingue per una serie di importanti dettagli.Nella composizione del piatto, innanzitutto, hanno maggiore ruolo i volatili, tradizionale vanto delle corti di pianura: la gallina, a partire da quella Padovana dal gran ciuffo, documentata fin dal Cinquecento nelle tavole dell’Aldovrandi, ma anche anatra, oca e faraona. Muta pure il quadro dei condimenti, dove il primo distinguo riguarda la mostarda, che sotto il segno del leone di san Marco si ricava dalla mela cotogna, importata dal Medio Oriente dai mercanti della Serenissima. La ricetta codificata da una storica azienda richiede mele cotogne e frutta candita ridotte a consistenza granulosa, più zucchero e olio essenziale di senape. Sempre in termini di piccante, comincia qui l’epopea del cren, ovvero della salsa ottenuta amalgamando nell’aceto la radice grattugiata del rafano, molto popolare in tutta l’Europa continentale.
Infine è da segnalare nel Veronese, con specifica festa a Isola della Scala, la pearà, salsa da bollito di tradizione per lo meno medievale, a base di pangrattato, midollo, formaggio grattugiato e pepe. Nel calice, un rosso a partire dai tanti a base Merlot che sono vanto regionale.

 

Per saperne di più... L'ARTE DEL BOLLITO NEL VICENTINO, EDITORE TERRAFERMA

(Il volume è disponibile presso l'ufficio turistico di Piazza Matteotti a Vicenza € 8,00)

  • Teoria e pratica del lesso e del brodo
  • Teoria e pratica del bollito misto
  • Storie vicentine tra lesso e bollito
  • Dal bancone della carne alla tavola imbandita
  • Tagli da bollito, celebrità e misconosciuti
  • Le delizie del quinto quarto
  • Elogio della trippa alla vicentina
  • Il rito pantagruelico degli ossi de mas-cio
  • Cotechini, musetti e bondiole
  • I bolliti bavaresi della Birreria Summano
  • Una vera rarità, il colo de castrà alesso
  • Gallina da brodo e gallo da lesso…
  • A Lonigo, una cattedra per la gallina Dorata
  • Un francesismo gastronomico, il capon a la canevéra
  • Alla ricerca dei veri bigoli co’ l’arna
  • Cum grano salis… a proposito di condimento
  • Prima fra le salse, la mostarda vicentina
  • Dalle radici di rafano, il piccante piacere del cren
  • Calici o boccali per il più eclettico dei piatti

Il maiale nella tradizione vicentina

maialeIl maiale ha sempre rivestito un ruolo di primaria importanza nella gastronomia italiana e quindi anche in quella dell’entroterra veneto. Ciò è dovuto al fatto cheil Veneto è da sempre una regione che fonda la propria economia sull’agricoltura e l’allevamento di animali da cortile, nutriti con i prodotti della terra, poveri ma genuini. L’ansia che prendeva la famiglia contadina qualche giorno prima dell’uccisione del maiale coinvolgeva tutti, provocando un’agitazione generale e un diffuso nervosismo. Intanto c’era la previsione di dover lavorare molto più del solito e in modo febbrile, ma anche la certezza di mangiare a sazietà e questo dava una carica inconsueta, creando nel contempo un clima di festa.

salumiIl mas-cio veniva generalmente immolato nell’intervallo di tempo che andava da Santa Caterina a Sant’Antonio Abate (17 gennaio) chiamato anche “Sant’Antonio del mas-cio”. Da quel giorno, appena passata la metà di gennaio, si iniziavano a consumare le carni insaccate del maiale appena ucciso, ché di quelle dell’anno precedente non c’era più neanche il ricordo.

“El mas’cio xe na botéga” recita un adagio vicentino per sottolineare quanto sia generosa l’eredità del maiale, e una nota d’inventario del 1866, conservata nell’archivio comunale di San Vito di Leguzzano, aiuta a immaginarne la consistenza: «luganeghe 44, luganeghe di mortadelle 12, mortadelle 20, sopresse 7, salati 26, musetti 5, codini 31, bondiole 4, salame colla lingua 1; pancette 2, capi di lonza 2, pezzi di lardo 4». Non vengono citati il prosciutto, che un tempo o veniva venduto per finanziare l’acquisto del nuovo suinetto o integralmente destinato all’impasto di salami e sopresse, e le mortadelle, insaccati ottenuti dai tagli minori e dalle frattaglie, oggi quasi scomparse, ma nel complesso la rassegna di salumi è sostanzialmente la stessa presentata dai salumifici artigianali odierni.

DUE “ISTITUZIONI”... LA SOPRÈSSA VICENTINA DOP E IL RITO DEGLI OSSI DE MAS-CIO

Il Consorzio di Tutela della Soprèssa Vicentina Dop (con sede a Thiene) è il punto di arrivo di un lavoro secolare di tecniche naturali e gusto e quello di partenza (dal 2003) per una garanzia totale di controllo su area geografica di produzione vicentina, trasformazione e lavorazione delle mezzene di maiale.
Luigi Costa (già delegato della Accademia Italiana della Cucina) testimonia da una delle cene annuali dedicate agli ossi del maiale, “dono” finale della lavorazione: «In piedi si gustano fettine di salame abbrustolito che insaporiscono radicchio di campo, poi a tavola risotto al tastasale, fegato ai ferri, cotechino col purè di patate. Al centro viene messo il pentolone, tolta l’acqua di cottura e tutti gli ossi del maiale (bolliti per circa tre ore) si spolpano con le mani, accompagnati a cren e sale grosso. Una volta si finiva col sanguinaccio dolce, ma si è perso il sapore dalla memoria...»

Salame e prosciutto d'oca

L'oca è ben presente nella tradizione vicentina come carne conservata sotto grasso: l'oco in onto è produzione tipica del basso vicentino dove viene utilizzata, per esempio, per arricchire risi e bisi, la più classica delle minestre primaverili. L'utilizzo salumiero di questo volatile, originariamente legato alle esigenze alimentari delle comunità ebraiche, non ha riscontro storico a Vicenza.

La produzione di salame e prosciuttini d'oca avviata presso alcune fattorie della zona pedemontana di Arsiero è da considerarsi un caso di tipicità acquisita. Caratteristica di entrambi i prodotti è la delicatezza della carne, adatta agli antipasti più raffinati.

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