Citazione d'esordio per la regina dei salumi vicentini. I
principi di lavorazione sono gli stessi recepiti dalla produzione
Dop, ma le sopresse di fattoria hanno il privilegio
di nascere nel loro contesto originale, da suini allevati
allo stato semibrado, nei momenti e nelle pezzature
di rito, maturando in cantina fino a due anni nell'incertezza
dettata dall'andamento stagionale ma col valore
aggiunto del pieno rispetto della tradizione.
Tra i prodotti
particolari si segnalano le sopresse investie, rivestite, inglobanti un taglio di carna pregiata – ossocollo,
filetto o braciola – che così si mantengono freschi a
lungo e impreziosiscono la fetta nel disegno e nel sapore.
Il termine «bondola» deriva forse dal latino «botulu», che sta per budello, o ancor più probabilmente da una voce arcaica d’ambito padano indicante un oggetto di forma tondeggiante. Questi insaccati d’impasto analogo al cotechino, hanno tuttavia pezzatura maggiore e forma tondeggiante per via dell’insaccatura in vescica.
Quanto alla preparazione, carni e cotiche, nelle proporzioni codificate dalla tradizione contadina, vengono macinate singolarmente, quindi impastate con aggiunta di sale e aromi (pepe, cannella e chiodi di garofano), rimacinate assieme e infine insaccate in una vescica di maiale o vitello, tutt’al più in ritagli di budello di vacca. Questo accorgimento trova motivo d’essere nell’esigenza di prolungare la conservazione dell’insaccato, di modo che le bondole possano essere consumate successivamente ai cotechini, fino a primavera. Il consumo è previa cottura in acqua e gli abbinamenti sono gli stessi del cotechino: salsa di rafano («cren»), radicchio di campo stufato o altre verdure bollite.
Prodotto caratteristico è la bondola con la lingua, che consente la conservazione di questo taglio di carne inserendolo intero nel cuore dell’insaccato o a pezzi mischiato all’impasto dopo una breve salmistratura. Da segnalare, l’antica usanza di portare in tavola la «bondola col lengual» nel giorno dell’Ascensione, festività che cade per lo più in maggio; è quello che gli antropologi definiscono rituale atropopaico, affidando al consumo della lingua di maiale il valore di scongiuro contro i morsi dei serpenti, animali a lingua bifida, che proprio in questo periodo dell’anno tornano a mostrarsi nei campi. È a questa tradizione, che si ispira l’odierna Sagra della Bondola, in calendario a Torrebelvicino nelle domeniche del mese delle rose.
Nei tempi andati la macellazione degli animali di grossa taglia, domestici e selvatici, poneva il problema di conservarne le carni per evitare gli sprechi del consumo immediato. Il metodo di più frequente adozione era la salagione dei tagli più pregiati, che nelle sue varianti regionali spazia dalla carne salada trentina alla bresaola valtellinese.
A Lusiana lo stesso risultato si ottiene per semplice essiccazione, processo che ha il notevole vantaggio di alterare molto meno il sapore della carne. La preparazione riguarda piccoli tagli di manzo o cavallo, cosparsi d’aromi e pazientemente asciugati al calore di un fuoco di legna pregiata e frasche di ginepro. Al taglio la carne secca si presenta all’esterno scura, con sapore affumicato, e all’interno rosata e morbida. Quanto alla carne di cavallo, va ricordata la sua caratteristica di contenere in piccola percentuale uno zucchero, il glicogeno, che ne rende inconfondibile il gusto. Rispetto al passato va registrato il fatto che a questo trattamento non sono destinati le carni di animali da lavoro a fine carriera, per questo piuttosto coriacee, ma manzi ed equini di razze pregiate e d’età ideale.
Al momento del consumo, la carne secca viene affettata sottile, e servita come un salume, assieme a un’insalata di fagioli e cipolle, per esempio; oppure viene scaldata sulla piastra e servita con un contorno di polenta e funghi; o ancora, trattata più modernamente come un carpaccio, da bagnare con un filo d’olio e abbinare a scaglie di formaggio. Non manca uno specifico appuntamento gastronomico, la Sagra della carne secca che si tiene il 25 luglio, a margine delle solennità riservate al patrono San Giacomo.
Oltre alle sopresse consuete, con o senza aglio, oggetto del riconoscimento Dop, la salumeria artigiana vicentina ne propone un tipo particolare che rimanda all'uso di conservare più a lungo i tagli pregiati del maiale insaccandoli all'interno di una grossa sopressa. L'ossocollo, o coppa che dir si voglia, è uno di questi.
Questa sopressa investìa, 'rivestita', è una vera specialità, anche perché non se ne possono avere più di due per ogni maiale: la fetta è uno spettacolo, con l'impasto marezzato a incorniciare la carne piena, ben venata di grasso e fresca; il gusto è caratteristico, in una commistione di dolce e salato.
Un tempo le sopresse con l'ossocollo venivano consumate con parsimonia, ponendole sul tagliere nelle grandi occasioni.
L'oca è ben presente nella tradizione vicentina come
carne conservata sotto grasso: l'oco in onto è produzione
tipica del basso vicentino dove viene utilizzata, per
esempio, per arricchire risi e bisi, la più classica delle
minestre primaverili. L'utilizzo salumiero di questo
volatile, originariamente legato alle esigenze alimentari
delle comunità ebraiche, non ha riscontro storico a
Vicenza.
La produzione di salame e prosciuttini d'oca
avviata presso alcune fattorie della zona pedemontana
di Arsiero è da considerarsi un caso di tipicità acquisita.
Caratteristica di entrambi i prodotti è la delicatezza
della carne, adatta agli antipasti più raffinati.
Il salame, salado in dialetto, è l'insaccato per antonomasia e rappresenta la parte preponderante della trasformazione salumiera. Nella tradizione vicentina, caso più unico che raro, è complementare alla sopressa: l'impasto è sostanzialmente lo stesso, come le aggiunte aromatiche, cambia la pezzatura, più piccola, per il consumo dei primi mesi, fino a quando, tra estate e autunno, subentra la compagna.
Il calendario della buona tavola vicentina vuole «salado so le bronse» per il giovedì grasso, a testimonianza del suo esordio stagionale come pure della consuetudine di consumarlo scaldato in graticola raccogliendo con polenta fresca o abbrustolita il grasso colato sul piatto. L'odierna produzione artigianale ne propone tre tipi: il salame vicentino, con gli stessi tagli della sopressa, vale a dire coscia, coppa, spalla, lombo, pancetta e grasso di gola; il salame tradizionale, dove invece prevalgono le parti di spalla e pancetta; il salame con l'aglio, che tra l'altro ha la particolarità di accellerare la maturazione.
Più che un salume, sono un prodotto derivato dalla
lavorazione dello strutto. Trattasi di particelle carnose,
che una volta strizzate dal grasso e compresse si presentano
scure e croccanti. Un tempo i sossoli venivano
usati per insaporire le verdure cotte, al posto della pancetta,
o nell'impasto del cosiddetto pan coi sossoli;
oggi, più che altro, sono serviti come aperitivo con un
bicchiere di vino novello.
Rara produzione, tipicamente montana, mantenuta in
vita da poche aziende tra Arzignano e Chiampo, nella
bassa Val d'Agno. Abbinano alla carne suina una quantità
per lo meno uguale di rape gialle, ortaggio un
tempo diffuso nelle comunità alpine. Il taglio suino
prevalente è quello delle coste con eventuale aggiunta
di guanciale e gola.
Oltre ai prodotti consueti, si segnala il cotechino con il
grugno, che ha specifica tradizione nel Basso Vicentino.
La caratteristica consiste nell'impiego del muso del
maiale – una parte piuttosto coriacea ma particolarmente gustosa – che viene inserita
al centro dell'impasto
di un comune cotechino.
Caratteristica della
zona è anche la consuetudine
di utilizzare dello
strutto per prolungare la conservazione del comune cotechino,
che così si mantiene a lungo fresco e saporito.
Tipiche della Val Leogra, le mortandele sono costituite
da un impasto di carni di seconda scelta, frattaglie
(fegato, cuore, polmone) e lardo con una concia a base
di cannella, pepe, chiodi di garofano e quant'altro. Il
tutto viene avvolto nel budello o nel radeselo (omento).
Il consumo è a breve termine, previa cottura in
padella o sulla graticola. Le morette, o barbusti, sono
delle piccole salsicce di analogo impasto, da consumarsi
cotte, lessate o alla brace.