La coltivazione del riso a Grumolo delle Abbadesse
Grumolo delle Abbadesse: 3.400 anime distribuite nel centro comunale e nelle due frazioni di Vancimuglio e Sarmego, poco discoste dalla strada che collega Vicenza a Padova; un paesaggio di campagne di antica bellezza, con specifica vocazione per la risaia, e una cospicua eredità in ville del Palladio, dello Scamozzi e d'altri.
Il toponimo fa riferimento al poggio, grumulus, sul quale nell'antichità sorgeva un castello; la specificazione riguarda invece le principali artefici della fortuna del luogo, le monache benedettine che l'ebbero in feudo pochi anni dopo il Mille. In quegli anni Vicenza è retta dal vescovo Liudigerio I, che gestisce gli interessi del Sacro Romano Impero attraverso gli ordini religiosi, con predilezione per i Benedettini se si tratta di mettere a coltura qualche plaga marginale del contado. Così, quando tocca alle selve paludose che si stendono oltre il Tesina, l'incarico va al monastero più vicino, quello femminile di San Pietro, che ancor oggi innalza il suo campanile entro le mura di Vicenza.
Nel giro di due secoli le terre di Grumolo cambiano aspetto: aperti canali di bonifica, sono resi produttivi ben 900 campi vicentini, vale a dire 350 ettari. Nel Cinquecento, 200 campi sono destinati alla coltura del riso, cereale ancora poco conosciuto, introdotto dagli Arabi in Sicilia nel IX secolo e da qui diffusosi nei luoghi della penisola dove, per combinazione pedoclimatica e abbondanza d'acqua, si riesce a surrogare l'ambiente delle terre d'origine estremorientali. Nel nostro Paese il distretto risicolo per antonomasia è la Lomellina, tra Piemonte e Lombardia, seguito dal Veneto, tra il Basso Veronese e il Delta del Po, e da realtà minori in Toscana, Marche e Sardegna.
Quella delle Badesse di Grumolo, dunque, è una scelta coraggiosa, ma in linea con le strategie di un ordine che mette in pratica la regola dell'ora et labora anche redimendo gli incolti con diligenti sistemazioni idrauliche. A Grumolo, l'opera principale è il canale della Moneghina, che attraversa il centro abitato con il duplice scopo di portare le acque del Tesina alle risaie e consentire il trasporto del raccolto su chiatte trainate da cavalli verso i magazzini della corte benedettina in paese. Poi le acque si frazionano in rogge e canalette a disegnare il paesaggio caratteristico della risaia.
A ciò si deve, in ultima analisi, l'unicità del luogo e del suo paesaggio che abbina le geometrie delle risaie alle architetture delle ville nel gioco di riflessi della tarda primavera, quando la campagna è allagata, e poi in una cornice lussureggiante, verde smeraldo, quando tutt'intorno, a estate avanzata, la natura è stanca e polverosa.