Il maiale nella tradizione vicentina
Il maiale ha sempre rivestito un ruolo di primaria importanza nella gastronomia italiana e quindi anche in quella dell’entroterra veneto. Ciò è dovuto al fatto cheil Veneto è da sempre una regione che fonda la propria economia sull’agricoltura e l’allevamento di animali da cortile, nutriti con i prodotti della terra, poveri ma genuini. L’ansia che prendeva la famiglia contadina qualche giorno prima dell’uccisione del maiale coinvolgeva tutti, provocando un’agitazione generale e un diffuso nervosismo. Intanto c’era la previsione di dover lavorare molto più del solito e in modo febbrile, ma anche la certezza di mangiare a sazietà e questo dava una carica inconsueta, creando nel contempo un clima di festa.
Il mas-cio veniva generalmente immolato nell’intervallo di tempo che andava da Santa Caterina a Sant’Antonio Abate (17 gennaio) chiamato anche “Sant’Antonio del mas-cio”. Da quel giorno, appena passata la metà di gennaio, si iniziavano a consumare le carni insaccate del maiale appena ucciso, ché di quelle dell’anno precedente non c’era più neanche il ricordo.
“El mas’cio xe na botéga” recita un adagio vicentino per sottolineare quanto sia generosa l’eredità del maiale, e una nota d’inventario del 1866, conservata nell’archivio comunale di San Vito di Leguzzano, aiuta a immaginarne la consistenza: «luganeghe 44, luganeghe di mortadelle 12, mortadelle 20, sopresse 7, salati 26, musetti 5, codini 31, bondiole 4, salame colla lingua 1; pancette 2, capi di lonza 2, pezzi di lardo 4». Non vengono citati il prosciutto, che un tempo o veniva venduto per finanziare l’acquisto del nuovo suinetto o integralmente destinato all’impasto di salami e sopresse, e le mortadelle, insaccati ottenuti dai tagli minori e dalle frattaglie, oggi quasi scomparse, ma nel complesso la rassegna di salumi è sostanzialmente la stessa presentata dai salumifici artigianali odierni.
DUE “ISTITUZIONI”... LA SOPRÈSSA VICENTINA DOP E IL RITO DEGLI OSSI DE MAS-CIO
Il Consorzio di Tutela della Soprèssa Vicentina Dop (con sede a Thiene) è il punto di arrivo di un lavoro secolare di tecniche naturali e gusto e quello di partenza (dal 2003) per una garanzia totale di controllo su area geografica di produzione vicentina, trasformazione e lavorazione delle mezzene di maiale.
Luigi Costa (già delegato della Accademia Italiana della Cucina) testimonia da una delle cene annuali dedicate agli ossi del maiale, “dono” finale della lavorazione: «In piedi si gustano fettine di salame abbrustolito che insaporiscono radicchio di campo, poi a tavola risotto al tastasale, fegato ai ferri, cotechino col purè di patate. Al centro viene messo il pentolone, tolta l’acqua di cottura e tutti gli ossi del maiale (bolliti per circa tre ore) si spolpano con le mani, accompagnati a cren e sale grosso. Una volta si finiva col sanguinaccio dolce, ma si è perso il sapore dalla memoria...»