Gli asparagi che oggi conosciamo, siano essi bianchi, violetti o verdi, appartengono tutti alla stessa specie botanica, l'Asparagus officinalis L., appartenente alla famiglia delle Liliaceae, dell'ordine delle Liliiflorae, e il nostro Paese, con una produzione che si aggira attorno alle 30.000 tonnellate, si colloca al terzo posto nella produzione europea di questo nobile turione.
Tra le zone più fortemente vocate per la coltivazione degli asparagi, l'area del bassanese è da tempo riconosciuta come una delle più rinomate; e al di là di una lunga tradizione, riportata certo da storici, ma anche da diffusi detti e leggende che si fanno risalire fino al XIII secolo, la coltivazione dell'asparago nel territorio bassanese si è sviluppata soprattutto a partire dal secolo scorso e in particolare nel periodo successivo al secondo dopoguerra, in aziende contadine di piccole dimensioni, ma negli anni sempre più numerose vista la crescente richiesta di prodotto pregiato e l'alto reddito realizzabile.
Nel bassanese, i terreni leggeri, lungo il bacino del fiume Brenta, consentono la produzione di turioni bianchi, diritti, croccanti e privi di fibrosità, caratteristiche che li rendono molto pregiati e apprezzati soprattutto dal mercato locale. Tali caratteristiche qualitative però, non sono state corrisposte, soprattutto negli ultimi anni, da un conseguente e auspicato incremento della produzione, a causa principalmente della sempre più ridotta disponibilità di manodopera familiare e gli elevati costi che la coltura comporta (la raccolta non può che essere manuale).
La varietà diffusa nel bassanese (asparago comune, o chiaro di Bassano) ebbe origine, probabilmente, da selezioni genetiche realizzate nel tempo dagli agricoltori, ma le migliori caratteristiche derivano, oltre che dalle cure colturali, dall'ambiente; l'assenza di fibrosità e il sapore dolciastro, qualità organolettiche e morfologiche tipiche dell'asparago bianco di Bassano, sono infatti determinate dai fattori pedoclimatici della zona geografica di produzione che influenzano positivamente l'evolversi dei processi vegetativi.
I terreni, in primis: l'area bassanese è di origine alluvionale e i materiali detritici trasportati dalle acque correnti e depositati sulla pianura ne caratterizzano la composizione fisico-chimica; e quindi il terreno ha una tessitura di tipo franco o franco-sabbiosa, con un sottosuolo ricco di ghiaia, dotato quindi di una buona permeabilità e di una discreta presenza di sostanza organica; il PH si colloca su valori prevalenti di 6-6,5 (terreni sub-acidi). Queste caratteristiche influiscono positivamente sull'assenza di fibrosità, determinando l'ottenimento di turioni teneri e integralmente consumabili.
In secondo luogo il clima, che risente dell'influenza del fiume Brenta e della protezione delle prealpi e del massiccio del Grappa. Il clima dunque è mite, ventilato, non umido e influisce positivamente sulla sanità della coltura riducendo l'incidenza delle malattie crittogamiche.
La stagione estiva non siccitosa, la tessitura sabbiosa dei terreni, il sottosuolo ghiaioso e la conseguente assenza di ristagni di umidità sono poi elementi che contribuiscono allo sviluppo di un apparato radicale ampio e profondo. E queste stesse condizioni pedoclimatiche consentono, durante tutta la fase vegetativa, un'intensa attività di assorbimento di elementi nutritivi e di elaborazione delle sostanze zuccherine, che si protrae fino a ottobre-novembre. All'inizio dell'inverno, quindi, l'apparato radicale dell'asparago si presenta ben sviluppato e ricco di sostanze nutritive di riserva, che verranno mobilizzate alla ripresa vegetativa, con l'innalzamento primaverile della temperatura del terreno, consentendo lo sviluppo di germogli (turioni) di sufficienti dimensioni (calibro) ed interamente commestibili.
L'asparago non può essere inserito nei normali avvicendamenti, poiché poliennale, ma può considerarsi coltura miglioratrice, poiché richiede lavorazioni profonde al momento dell'impianto, abbondanti concimazioni e ripetute sarchiature.
È sconsigliabile far seguire o precedere l'asparagiaia a se stessa, a patata, erba medica, trifogli, carota, barbabietola, soprattutto per il pericolo di attacchi di rizoctonia (mal vinato); per il reimpianto nello stesso appezzamento è poi necessario attendere almeno 4-5 anni o anche 8 in caso di accertata presenza di fitopatie. è infine preferibile far precedere all'impianto dell'asparago colture cerealicole come orzo, frumento o mais.
Si inizia nell'autunno o nell'inverno precedente all'impianto con un'aratura leggera a 30-40 cm seguita da una ripuntatura a 40-50 cm; nel corso di queste lavorazioni viene interrato il letame maturo e concimi fosforici e potassici. Seguono successive erpicature per pareggiare e livellare il terreno; si procede poi con l'apertura di fosse parallele profonde 20-30 cm e larghe 50-70 cm che delimitano strisce di larghezza variabile da 100 a 200 cm dove si accumula il terreno rimosso (sistema classico). La recente evoluzione del metodo d'impianto prevede l'apertura di solchi profondi 15-20 cm nei quali viene disposto il materiale riproduttivo successivamente ricoperto da un leggero strato di terreno.
La profondità dell'impianto influenza il tipo di prodotto e la durata dell'asparagiaia: se ridotta (5-10 cm.), pur favorendo la precocità di raccolta, si produrranno turioni di calibro inferiore e un accorciamento dell'intero ciclo colturale. Pertanto, soprattutto nei terreni sciolti, è opportuno garantire una profondità di 20-25 cm che è possibile ridurre a 15-20 cm in quelli franchi.
Per l'impianto si utilizzano, quali materiali di propagazione, le zampe (di uno o due anni di età) o le plantule in cubetto (di 60-70 giorni). Le zampe, impiegate nella tecnica d'impianto tradizionale, possono essere prodotte in azienda o acquistate presso ditte specializzate. Nel primo caso si semina in semenzaio a primavera o in giugno-luglio; seguono le normali pratiche colturali (irrigazioni, sarchiature, difesa) e in autunno si provvede alla recisione degli steli secchi. Nella primavera successiva si estirpano le zampe che, ripulite, possono essere conservate in locali freschi e ventilati oppure in sacchi di plastica a 0°C e 85-95% di umidità; quando poi le condizioni climatiche lo consentono si procede all'impianto disponendo sul fondo dei solchi le zampe con le radici orientate nel senso della lunghezza dei solchi.
Da qualche anno si utilizza il sistema del trapianto di piantine ottenute seminando l'asparago in cubetti con substrato pressato o in contenitori alveolati di polistirolo. I vantaggi di questo sistema sono: la relativa ampiezza del periodo di trapianto, l'attecchimento pressoché totale delle piantine e l'elevata omogeneità di sviluppo, la riduzione dei quantitativi di seme e dei costi d'impianto, vista la possibilità di impiego di macchine trapiantatrici, la possibilità di disporre di materiale sano in quanto allevato su materiale sterile e controllato. Questo tipo d'impianto richiede maggiori cure e un costante apporto idrico almeno il primo anno.
L'epoca di trapianto delle plantule è in primavera-estate; trapianti in epoche più tardive rischiano di far giungere le giovani piantine a riposo vegetativo poco sviluppate e male affrancate.
La coltura reagisce in modo molto positivo all'impiego di fertilizzante organico, distribuito sia prima della lavorazione principale che annualmente in autunno-inverno, dopo il taglio della parte aerea.
Prima dell'impianto, oltre al fertilizzante organico, si consiglia la distribuzione di fertilizzanti chimici (fosforo e potassio); l'azoto minerale, viene invece distribuito in 2-3 interventi frazionati durante l'accrescimento della parte aerea. Nelle annate successive la concimazione avviene in funzione delle analisi del terreno e delle asportazioni medie della coltura.
La concimazione fosfatica e parte della concimazione potassica viene effettuata, possibilmente, in coincidenza della lavorazione autunnale o di fine inverno; la concimazione azotata e la restante potassica viene effettuata nel periodo post-raccolta (non oltre il mese di luglio) frazionata possibilmente in più interventi; l'apporto annuo di elementi nutritivi è comunque compreso nel rapporto NPK pari a 2:1:2,5. Infine, tra i concimi sono preferiti quelli a base di Calcio, che influiscono positivamente sul pH del terreno.
Per l'ottenimento del turione bianco viene effettuata la rincalzatura delle zampe, operazione praticata con molta attenzione per non recare danni all'apparato radicale: generalmente si inizia a partire dall'inverno del secondo anno dall'impianto e viene ripetuta per l'intera durata produttiva dell'asparagiaia, utilizzando specifiche attrezzature (vomeri o dischi). Dopo questa operazione vengono predisposti i cumuli con terreno friabile che verrà rincalzato sopra la coltura in atto.
Alla fine della raccolta, per evitare l'eccessivo innalzamento dell'apparato radicale, si procede allo spianamento dei cumuli. Inoltre, nel periodo di completo disseccamento della parte aerea si procede allo sfalcio, all'asportazione e alla bruciatura della stessa.
Pratica molto diffusa è la pacciamatura con film plastico che consente di migliorare le condizioni strutturali e fisiche (temperatura e umidità) del suolo, con vantaggi sulla precocità di raccolta, la quantità e qualità dei turioni oltre che per il maggior controllo delle malerbe.
Gli interventi irrigui possono rendersi necessari già dal trapianto delle plantule, se l'andamento pluviometrico estivo non garantisce sufficiente disponibilità idrica del terreno; in questo caso si adottano turni molto stretti con bassi volumi di adacquamento.
Le maggiori richieste idriche si riscontrano in tre epoche: in aprile-maggio, seppur con esigenze generalmente modeste e comunque legate alla piovosità del periodo; in giugno, quando la vegetazione raggiunge i 60-70 cm di altezza con necessità di interventi più consistenti e in luglio-agosto. In condizioni meteoriche normali si rendono generalmente necessari 12 interventi irrigui da praticarsi da metà giugno a settembre.
Un corretto equilibrio tra la fase produttiva e quella vegetativa è indispensabile per poter ottenere soddisfacenti rese e longevità dell'asparagiaia.
Se il periodo di raccolta viene eccessivamente prolungato le piante non riescono a elaborare sufficienti sostanze di riserva per assicurare una nuova emissione di turioni con caratteristiche qualitative sufficienti, per cui l'impianto tende al depauperamento, oltre a predisporsi maggiormente agli attacchi di Fusarium.
La durata del periodo di raccolta viene, quindi, programmata in funzione dell'età dell'asparagiaia e dello sviluppo vegetativo raggiunto nel periodo estivo.
Al secondo anno dall'impianto il numero di raccolte oscilla tra 10 e 20 giorni (la raccolta non supera i 30) con produzioni che raggiungono valori pari a circa 1/3 di quelle dell'asparagiaia in piena produzione. Dal terzo anno dall'impianto, con l'entrata in piena produzione, la raccolta non supera i 60 giorni.
Un valido parametro che indica il momento in cui risulta conveniente sospendere la raccolta è la diminuzione del calibro dei turioni. La raccolta viene eseguita normalmente a mano, in un periodo compreso tra la seconda quindicina di marzo e la prima di giugno, con taglio in profondità secondo il metodo tradizionale, al mattino presto o prima del tramonto, facendo penetrare obliquamente nel terreno un apposito coltello (sgorbia o cavasparasi); osservando le screpolature del suolo, viene localizzato il turione che, scalzato a mano e con l'aiuto del coltello, viene staccato all'inserzione sul rizoma in modo da non danneggiare quelli vicini.
I turioni raccolti sono poi suddivisi in base al calibro e, dopo la recisione della parte terminale, confezionati in mazzi omogenei utilizzando rametti di salice (stropa).
È risaputo che l'asparago non "ama" il vino.
Perché?
Innanzitutto la sua principale preparazione, la bollitura, unendo all'acqua di vegetazione quella assorbita durante la cottura, non richiede, in bocca, alcun liquido d'accompagnamento, e tanto meno il vino!
Inoltre l'asparago, non creando alcuno stimolo di sete e inducendo al palato sensazioni amarognole e acidule, non risulta migliore dopo una sorsata di vino; né il vino è più piacevole dopo aver mangiato un asparago.
È importante sottolineare però che l'asparago, privo di una grande struttura aromatica e gustativa, non è quasi mai mangiato da solo, ma è un ottimo vegetale che si presta a notevoli e fantasiose combinazioni.
Sono proprio questi ultimi che determinano i vini più adatti a dei consoni abbinamenti.
La maniera più comune di mangiare gli asparagi è alla bassanese. Questa ricetta prevede la cottura degli asparagi immersi per 4/5 minuti in acqua bollente; gli stessi vanno poi intinti in una salsa che si prepara rompendo con i rebbi della forchetta delle uova rassodate in acqua bollente per sei minuti; la stessa va ammorbidita con olio d'oliva extravergine regolando con sale e pepe a piacimento.
Prove e controprove hanno dimostrato che l'abbinamento più azzeccato è un vino bianco, di buon corpo con spiccata acidità e profumi e aromi di media intensità.
A Breganze o meglio nella fascia pedemontana che va dall'Astico al Brenta si coltiva da secoli una vite che dà un vino di queste caratteristiche: il Vespaiolo.
Proprio questo vino DOC è servito in primavera in tutti i ristoranti dell'area di Bassano come accompagnamento agli asparagi bianchi.
Anche altri vini si prestano a essere serviti con gli asparagi ma il detto "mogli e buoi dei paesi tuoi" va proprio rispettato e la pazienza di una breve attesa e la compiacenza di un boccon di pane creeranno degli abbinamenti meravigliosi con i vini del Vicentino.
Provare per credere.