Più che un salume, sono un prodotto derivato dalla
lavorazione dello strutto. Trattasi di particelle carnose,
che una volta strizzate dal grasso e compresse si presentano
scure e croccanti. Un tempo i sossoli venivano
usati per insaporire le verdure cotte, al posto della pancetta,
o nell'impasto del cosiddetto pan coi sossoli;
oggi, più che altro, sono serviti come aperitivo con un
bicchiere di vino novello.
Rara produzione, tipicamente montana, mantenuta in
vita da poche aziende tra Arzignano e Chiampo, nella
bassa Val d'Agno. Abbinano alla carne suina una quantità
per lo meno uguale di rape gialle, ortaggio un
tempo diffuso nelle comunità alpine. Il taglio suino
prevalente è quello delle coste con eventuale aggiunta
di guanciale e gola.
Oltre ai prodotti consueti, si segnala il cotechino con il
grugno, che ha specifica tradizione nel Basso Vicentino.
La caratteristica consiste nell'impiego del muso del
maiale – una parte piuttosto coriacea ma particolarmente gustosa – che viene inserita
al centro dell'impasto
di un comune cotechino.
Caratteristica della
zona è anche la consuetudine
di utilizzare dello
strutto per prolungare la conservazione del comune cotechino,
che così si mantiene a lungo fresco e saporito.
Tipiche della Val Leogra, le mortandele sono costituite
da un impasto di carni di seconda scelta, frattaglie
(fegato, cuore, polmone) e lardo con una concia a base
di cannella, pepe, chiodi di garofano e quant'altro. Il
tutto viene avvolto nel budello o nel radeselo (omento).
Il consumo è a breve termine, previa cottura in
padella o sulla graticola. Le morette, o barbusti, sono
delle piccole salsicce di analogo impasto, da consumarsi
cotte, lessate o alla brace.
Oltre alla consueta produzione di salami, con o senza
aglio, si segnala una produzione dell'ormai raro salame
d'asino nei comuni di Posina, Laghi, Arsiero e
Valdagno, nel settore nord-occidentale della provincia.
La composizione dell'impasto prevede l'uso di carni
magre di asino di razza Furlana (60%) e grasse di suino
(40%), bagnate con vino rosso e conciate con pepe,
cannella, chiodi di garofano, rosmarino, salvia e aglio.
Citazione d'esordio per la regina dei salumi vicentini. I
principi di lavorazione sono gli stessi recepiti dalla produzione
Dop, ma le sopresse di fattoria hanno il privilegio
di nascere nel loro contesto originale, da suini allevati
allo stato semibrado, nei momenti e nelle pezzature
di rito, maturando in cantina fino a due anni nell'incertezza
dettata dall'andamento stagionale ma col valore
aggiunto del pieno rispetto della tradizione.
Tra i prodotti
particolari si segnalano le sopresse investie, rivestite, inglobanti un taglio di carna pregiata – ossocollo,
filetto o braciola – che così si mantengono freschi a
lungo e impreziosiscono la fetta nel disegno e nel sapore.
Esistono ancora le sopresse di casa? E se così è, quale
santo bisogna scomodare per averne una? C'è dell'ironia
in queste domande, ma la realtà la giustifica. Dopo tanto
oblio, è arrivato il momento, anzi la moda dei prodotti
tipici, salvo constatare che alcuni di essi sono sull'orlo
dell'estinzione. Questa sciagura gastronomica ha molte
ragioni d'essere, da ultima anche la globalizzazione che
porta sui nostri mercati salumi confezionati agli antipodi.
Scherzi a parte, non c'è voluto molto, qualche anno
addietro, per mandare in crisi molte produzioni tipiche.
Come chiedere, nel caso dei salumi, il rispetto di standard
tecnici obiettivamente persecutori a certe piccole
aziende locali.
Adeguamenti antieconomici per il macellaio
di montagna, costretto a chiudere i battenti, e ancor
più per l'azienda agricola che teneva qualche suino in
più per farne amichevole commercio. Buon per noi, nel
caso della sopressa vicentina, che alcuni salumifici artigiani
hanno raccolto il testimone della tipicità giungendo
al ragionevole compromesso di tradizione e tecnologia
richiesto dal mercato. Buon per i nostalgici della
sopressa del tempo andato che la normativa sull'agriturismo
permette ancora alle aziende del settore di lavorare
fino a due suini a settimana.
A queste fattorie spetta
oggi l'onore di custodire nelle proprie cantine i tesori
quasi perduti della salumeria vicentina, una produzione
limitata nei numeri ma culturalmente significativa. Il
loro impegno rientra in
uno specifico progetto
di certificazione «Terre del Palladio», nato
dalla collaborazione
della Coldiretti e di Vicenza
Qualità, azienda
speciale della Camera di
Commercio.
Il lardo si ricava dagli strati adiposi nobili che ricoprono
i fianchi e la schiena del suino, ridotti in pezzi regolari
e trattati in concia di sale e aromi in vista della legatura
a libro, con la cotenna all'esterno, più frequentemente,
oppure dell'insacco o di altra conservazione.
Nella cucina contadina il lardo costituiva una riserva di
grasso per tutto l'anno e veniva utilizzato come condimento
per minestre, pietanze e spesso anche per condire le verdure crude, e in
particolare i radicchi di
campo, dopo essere stato
sciolto in padella. Nell'uso odierno,
dopo un lungo periodo di eclisse se non di demonizzazione,
il lardo è tornato in auge, in versione aromatizzata,
come affettato ed eclettico ingrediente di
cucina.
La pancetta è ricavata in ragione di due pezzi per ogni
capo dallo strato di lardo venato di parti carnose che
ricopre l'addome del maiale. I tagli vengono salati e
aromatizzati con cannella e chiodi di garofano, quindi
arrotolati, insaccati dentro a budello di grosso calibro e
legate ad anelli ravvicinati.
Tagliata a fette sottili, è un
salume suadente, companatico tra i più apprezzati. A
ciò si aggiunge il favore di cui gode nella cucina tradizionale,
tagliata a pezzettini e rosolata per insaporire le
verdure stufate, come i radicchi di campo o
la catalogna, o nel soffritto di tante altre
preparazioni. I salumifici artigiani,
la producono anche
nelle versioni coppata e salamata,
legandola rispettivamente
attorno a un
ossocollo o a impasto da
sopressa.
Nel termine è il riferimento alla natura di questo salume,
costituito dalle masse muscolari situate lungo le
vertebre del collo del maiale, tra l'attaccatura della
testa e la quinta-sesta costola del carrè. La carne viene
salata, aromatizzata con cannella e chiodi di garofano, insaccata in budello naturale
di calibro adeguato e
legata con cura prima di
essere posta a stagionare da
sei mesi a un anno.
Trattandosi di un pezzo
di carne intero le percentuali di grasso sono molto
variabili, ma mediamente attorno al 25%. La coppa,
come il culatello e tutti i salumi compatti, tende a rinsecchirsi:
per ovviare al problema c'è l'espediente di
ammorbidirla con bagnature di vino bianco, brandy o
altri alcolici. Salvo insaccarla rivestendola con pasta di
sopressa, ottenendo così uno dei prodotti più pregiati
della tradizione vicentina.