Esistono ancora le sopresse di casa? E se così è, quale santo bisogna scomodare per averne una? C'è dell'ironia in queste domande, ma la realtà la giustifica. Dopo tanto oblio, è arrivato il momento, anzi la moda dei prodotti tipici, salvo constatare che alcuni di essi sono sull'orlo dell'estinzione. Questa sciagura gastronomica ha molte ragioni d'essere, da ultima anche la globalizzazione che porta sui nostri mercati salumi confezionati agli antipodi. Scherzi a parte, non c'è voluto molto, qualche anno addietro, per mandare in crisi molte produzioni tipiche. Come chiedere, nel caso dei salumi, il rispetto di standard tecnici obiettivamente persecutori a certe piccole aziende locali.
Adeguamenti antieconomici per il macellaio di montagna, costretto a chiudere i battenti, e ancor più per l'azienda agricola che teneva qualche suino in più per farne amichevole commercio. Buon per noi, nel caso della sopressa vicentina, che alcuni salumifici artigiani hanno raccolto il testimone della tipicità giungendo al ragionevole compromesso di tradizione e tecnologia richiesto dal mercato. Buon per i nostalgici della sopressa del tempo andato che la normativa sull'agriturismo permette ancora alle aziende del settore di lavorare fino a due suini a settimana.
A queste fattorie spetta oggi l'onore di custodire nelle proprie cantine i tesori quasi perduti della salumeria vicentina, una produzione limitata nei numeri ma culturalmente significativa. Il loro impegno rientra in uno specifico progetto di certificazione «Terre del Palladio», nato dalla collaborazione della Coldiretti e di Vicenza Qualità, azienda speciale della Camera di Commercio.