Prosciutto della Val Liona

Nel quadrante sud-orientale dei Colli Berici merita specifica citazione la realtà salumiera della Val Liona, che si presenta con uno scenario naturale a se stante, intimo e suggestivo. Richiamandosi alla secolare tradizione del luogo un'importante azienda di Sossano ha avviato la lavorazione di un prosciutto crudo aromatizzato con ginepro e altre essenze di collina, proponendolo anche in versione affumicata con legno di faggio e acero.

La "Cincionela co la rava" di Chiampo

La produzione di questa salsiccia rimanda al tempo in cui i contadini, pressati dalla necessità di fare maggiore provvista possibile, addizionavano le carni degli insaccati meno pregiati con polpa di rapa, ortaggio autunnale disponibile nello stesso periodo della macellazione dei maiali.

Per ottenere un prodotto quanto più fedele alla tradizione si prescrive il ricorso a carni di suini alimentati per almeno il 65% a base di mais locale o nazionale, macellati solo al superamento della soglia dei 160 chilogrammi, indicativa di un’adeguata disponibilità di lardo. I tagli suini utilizzati sono: polpa e rifilature di spalla; rifilature di coppa; goletta; rifilature di coscia, compreso il suo lardo; magro di pancetta e/o guanciale. Le singole quantità sono a discrezione del produttore. Quanto alla rapa gialla, di produzione locale, ne è previsto l’impiego, previa cottura, in ragione del 25-30% del peso totale.

L’insieme dei vari ingredienti va macinato con trafila da 4-6 millimetri, quindi addizionato con una concia fine di sale, pepe e salnitro in precise quantità, e l’amalgama così ottenuto insaccato manualmente in budello naturale ovino o suino. Con la legatura in filza si ottengono delle salsicce di una decina di centimetri di lunghezza e di circa 100 grammi di peso, destinate a pronto consumo, entro dieci giorni dalla produzione, previa cottura sulla brace. Sul piatto la ‘cincionela co’ la rava’ deve mostrare fetta morbida ma compatta, con le parti grasse in bell’evidenza e quelle magre perfettamente amalgamate alla rapa e alle spezie. Il sapore dev’essere delicato, con nota di caratteristica dolcezza conferita dall’ortaggio.

La carne secca di Lusiana

Nei tempi andati la macellazione degli animali di grossa taglia, domestici e selvatici, poneva il problema di conservarne le carni per evitare gli sprechi del consumo immediato. Il metodo di più frequente adozione era la salagione dei tagli più pregiati, che nelle sue varianti regionali spazia dalla carne salada trentina alla bresaola valtellinese.

A Lusiana lo stesso risultato si ottiene per semplice essiccazione, processo che ha il notevole vantaggio di alterare molto meno il sapore della carne. La preparazione riguarda piccoli tagli di manzo o cavallo, cosparsi d’aromi e pazientemente asciugati al calore di un fuoco di legna pregiata e frasche di ginepro. Al taglio la carne secca si presenta all’esterno scura, con sapore affumicato, e all’interno rosata e morbida. Quanto alla carne di cavallo, va ricordata la sua caratteristica di contenere in piccola percentuale uno zucchero, il glicogeno, che ne rende inconfondibile il gusto. Rispetto al passato va registrato il fatto che a questo trattamento non sono destinati le carni di animali da lavoro a fine carriera, per questo piuttosto coriacee, ma manzi ed equini di razze pregiate e d’età ideale.

Al momento del consumo, la carne secca viene affettata sottile, e servita come un salume, assieme a un’insalata di fagioli e cipolle, per esempio; oppure viene scaldata sulla piastra e servita con un contorno di polenta e funghi; o ancora, trattata più modernamente come un carpaccio, da bagnare con un filo d’olio e abbinare a scaglie di formaggio. Non manca uno specifico appuntamento gastronomico, la Sagra della carne secca che si tiene il 25 luglio, a margine delle solennità riservate al patrono San Giacomo.

La bondola di Torrebelvicino

Il termine «bondola» deriva forse dal latino «botulu», che sta per budello, o ancor più probabilmente da una voce arcaica d’ambito padano indicante un oggetto di forma tondeggiante. Questi insaccati d’impasto analogo al cotechino, hanno tuttavia pezzatura maggiore e forma tondeggiante per via dell’insaccatura in vescica.

Quanto alla preparazione, carni e cotiche, nelle proporzioni codificate dalla tradizione contadina, vengono macinate singolarmente, quindi impastate con aggiunta di sale e aromi (pepe, cannella e chiodi di garofano), rimacinate assieme e infine insaccate in una vescica di maiale o vitello, tutt’al più in ritagli di budello di vacca. Questo accorgimento trova motivo d’essere nell’esigenza di prolungare la conservazione dell’insaccato, di modo che le bondole possano essere consumate successivamente ai cotechini, fino a primavera. Il consumo è previa cottura in acqua e gli abbinamenti sono gli stessi del cotechino: salsa di rafano («cren»), radicchio di campo stufato o altre verdure bollite.

Prodotto caratteristico è la bondola con la lingua, che consente la conservazione di questo taglio di carne inserendolo intero nel cuore dell’insaccato o a pezzi mischiato all’impasto dopo una breve salmistratura. Da segnalare, l’antica usanza di portare in tavola la «bondola col lengual» nel giorno dell’Ascensione, festività che cade per lo più in maggio; è quello che gli antropologi definiscono rituale atropopaico, affidando al consumo della lingua di maiale il valore di scongiuro contro i morsi dei serpenti, animali a lingua bifida, che proprio in questo periodo dell’anno tornano a mostrarsi nei campi. È a questa tradizione, che si ispira l’odierna Sagra della Bondola, in calendario a Torrebelvicino nelle domeniche del mese delle rose.

Prosciutto Veneto Berico-Euganeo Dop

Il prosciutto crudo rappresenta una realtà a se stante nella tradizione salumiera vicentina. Un tempo, infatti, era salume destinato essenzialmente alle tavole ricche, giacché i contadini, quando non utilizzavano le cosce nell'impasto per salami e sopresse, le vendevano per finanziare l'acquisto del nuovo suinetto. La zona di produzione interessa l'area che ha come punti di riferimento Montagnana, in provincia di Padova, e i centri vicentini di Sossano e Lonigo.

Il disciplinare Dop prevede che le cosce, lavorate e salate, vengano sottoposte a una prima maturazione di circa 90 giorni; segue la stagionatura vera e propria, almeno 10 mesi, al termine della quale il prosciutto può fregiarsi del marchio consortile del leone di San Marco. Al taglio, il prosciutto deve presentarsi di colore rosa tendente al rosso nella parte magra, bianco puro in quella grassa; l'aroma delicato, dolce e fragrante

Bondole

Il termine bondola deriva forse dal latino botulu, budello, o da una voce arcaica d'ambito padano, indicante un oggetto di forma tondeggiante. Questi insaccati, infatti, si differenziano dai cotechini solo per la forma e la maggiore dimensione, determinate dalla confezione in vescica di maiale, che permette all'impasto di conservarsi fresco più a lungo.

Prodotto caratteristico è la bondola con la lingua, che consente la conservazione di questo taglio di carne, inserita intera nel cuore dell'insaccato o mischiata a pezzi all'impasto dopo una breve salmistratura. Da segnalare l'antica usanza contadina di consumare la bondola nel giorno dell'Ascensione, anche a titolo di protezione contro il morso dei serpenti.

Degna di nota, la Sagra della bondola che si tiene a Torrebelvicino, nella prima metà di maggio.

Cotechini e musetti

L'origine del termine cotechino è nel latino cutis, pelle, da cui cotica e cotenna, a indicare la prevalente composizione di questo insaccato di piccola pezzatura, da consumarsi nel giro di qualche mese, bollito e contornato da crauti o radici in tecia, con sottaceti o cren.
Oltre alla cotenna, il macinato comprende altre parti piuttosto dure come le orecchie, lardo, cartilagini e tendini, condite con sale, pepe e una mistura di cannella, chiodi di garofano e noce moscata, con eventuale aggiunta di aglio. Il cotechino è un piatto molto appetitoso e in passato era considerato tanto più buono quanto più risultava attaccaticcio.
Una variante è rappresentata dal musetto, che è più magro perché comprende una maggiore percentuale dello spolpo della testa, oggi quasi esclusivamente ridotto alla gola. Il musetto viene anche preparato con la lingua, inserita intera nella massa del macinato, oppure mischiata a pezzi al resto.

Salamelle e luganeghe

Il termine salsiccia nasce per combinazione di salsus, salato, e insicia, cicciolo, polpetta, che reca in sé il verbo secare, tagliare. Un insaccato di piccola pezzatura, dunque, per il quale si utilizza il sottile budello del maiale e la legatura in filze. La natura dell'impasto, macinati a grana abbastanza grossa, è varia e determina sia il grado di conservazione che le modalità di consumo.
Le salamelle, o salsicce fresche, nascono dai tagli meno pregiati e vanno cotte a breve sulla piastra o in padella con delle verdure stufate o crauti.
Le luganeghe, fatte con carni magre e grasso morbido, si conservano al fresco per qualche mese; anch'esse sono destinate alla griglia e alla preparazione di sughi e ripieni.

Salami

Il salame, salado in dialetto, è l'insaccato per antonomasia e rappresenta la parte preponderante della trasformazione salumiera. Nella tradizione vicentina, caso più unico che raro, è complementare alla sopressa: l'impasto è sostanzialmente lo stesso, come le aggiunte aromatiche, cambia la pezzatura, più piccola, per il consumo dei primi mesi, fino a quando, tra estate e autunno, subentra la compagna.
Il calendario della buona tavola vicentina vuole «salado so le bronse» per il giovedì grasso, a testimonianza del suo esordio stagionale come pure della consuetudine di consumarlo scaldato in graticola raccogliendo con polenta fresca o abbrustolita il grasso colato sul piatto. L'odierna produzione artigianale ne propone tre tipi: il salame vicentino, con gli stessi tagli della sopressa, vale a dire coscia, coppa, spalla, lombo, pancetta e grasso di gola; il salame tradizionale, dove invece prevalgono le parti di spalla e pancetta; il salame con l'aglio, che tra l'altro ha la particolarità di accellerare la maturazione.

Sopressa con l'ossocollo

Oltre alle sopresse consuete, con o senza aglio, oggetto del riconoscimento Dop, la salumeria artigiana vicentina ne propone un tipo particolare che rimanda all'uso di conservare più a lungo i tagli pregiati del maiale insaccandoli all'interno di una grossa sopressa. L'ossocollo, o coppa che dir si voglia, è uno di questi.

Questa sopressa investìa, 'rivestita', è una vera specialità, anche perché non se ne possono avere più di due per ogni maiale: la fetta è uno spettacolo, con l'impasto marezzato a incorniciare la carne piena, ben venata di grasso e fresca; il gusto è caratteristico, in una commistione di dolce e salato.

Un tempo le sopresse con l'ossocollo venivano consumate con parsimonia, ponendole sul tagliere nelle grandi occasioni.

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