La coltura reagisce in modo molto positivo all'impiego di fertilizzante organico, distribuito sia prima della lavorazione principale che annualmente in autunno-inverno, dopo il taglio della parte aerea.
Prima dell'impianto, oltre al fertilizzante organico, si consiglia la distribuzione di fertilizzanti chimici (fosforo e potassio); l'azoto minerale, viene invece distribuito in 2-3 interventi frazionati durante l'accrescimento della parte aerea. Nelle annate successive la concimazione avviene in funzione delle analisi del terreno e delle asportazioni medie della coltura.
La concimazione fosfatica e parte della concimazione potassica viene effettuata, possibilmente, in coincidenza della lavorazione autunnale o di fine inverno; la concimazione azotata e la restante potassica viene effettuata nel periodo post-raccolta (non oltre il mese di luglio) frazionata possibilmente in più interventi; l'apporto annuo di elementi nutritivi è comunque compreso nel rapporto NPK pari a 2:1:2,5. Infine, tra i concimi sono preferiti quelli a base di Calcio, che influiscono positivamente sul pH del terreno.
Per l'impianto si utilizzano, quali materiali di propagazione, le zampe (di uno o due anni di età) o le plantule in cubetto (di 60-70 giorni). Le zampe, impiegate nella tecnica d'impianto tradizionale, possono essere prodotte in azienda o acquistate presso ditte specializzate. Nel primo caso si semina in semenzaio a primavera o in giugno-luglio; seguono le normali pratiche colturali (irrigazioni, sarchiature, difesa) e in autunno si provvede alla recisione degli steli secchi. Nella primavera successiva si estirpano le zampe che, ripulite, possono essere conservate in locali freschi e ventilati oppure in sacchi di plastica a 0°C e 85-95% di umidità; quando poi le condizioni climatiche lo consentono si procede all'impianto disponendo sul fondo dei solchi le zampe con le radici orientate nel senso della lunghezza dei solchi.
Da qualche anno si utilizza il sistema del trapianto di piantine ottenute seminando l'asparago in cubetti con substrato pressato o in contenitori alveolati di polistirolo. I vantaggi di questo sistema sono: la relativa ampiezza del periodo di trapianto, l'attecchimento pressoché totale delle piantine e l'elevata omogeneità di sviluppo, la riduzione dei quantitativi di seme e dei costi d'impianto, vista la possibilità di impiego di macchine trapiantatrici, la possibilità di disporre di materiale sano in quanto allevato su materiale sterile e controllato. Questo tipo d'impianto richiede maggiori cure e un costante apporto idrico almeno il primo anno.
L'epoca di trapianto delle plantule è in primavera-estate; trapianti in epoche più tardive rischiano di far giungere le giovani piantine a riposo vegetativo poco sviluppate e male affrancate.
Si inizia nell'autunno o nell'inverno precedente all'impianto con un'aratura leggera a 30-40 cm seguita da una ripuntatura a 40-50 cm; nel corso di queste lavorazioni viene interrato il letame maturo e concimi fosforici e potassici. Seguono successive erpicature per pareggiare e livellare il terreno; si procede poi con l'apertura di fosse parallele profonde 20-30 cm e larghe 50-70 cm che delimitano strisce di larghezza variabile da 100 a 200 cm dove si accumula il terreno rimosso (sistema classico). La recente evoluzione del metodo d'impianto prevede l'apertura di solchi profondi 15-20 cm nei quali viene disposto il materiale riproduttivo successivamente ricoperto da un leggero strato di terreno.
La profondità dell'impianto influenza il tipo di prodotto e la durata dell'asparagiaia: se ridotta (5-10 cm.), pur favorendo la precocità di raccolta, si produrranno turioni di calibro inferiore e un accorciamento dell'intero ciclo colturale. Pertanto, soprattutto nei terreni sciolti, è opportuno garantire una profondità di 20-25 cm che è possibile ridurre a 15-20 cm in quelli franchi.
L'asparago non può essere inserito nei normali avvicendamenti, poiché poliennale, ma può considerarsi coltura miglioratrice, poiché richiede lavorazioni profonde al momento dell'impianto, abbondanti concimazioni e ripetute sarchiature.
È sconsigliabile far seguire o precedere l'asparagiaia a se stessa, a patata, erba medica, trifogli, carota, barbabietola, soprattutto per il pericolo di attacchi di rizoctonia (mal vinato); per il reimpianto nello stesso appezzamento è poi necessario attendere almeno 4-5 anni o anche 8 in caso di accertata presenza di fitopatie. è infine preferibile far precedere all'impianto dell'asparago colture cerealicole come orzo, frumento o mais.
La varietà diffusa nel bassanese (asparago comune, o chiaro di Bassano) ebbe origine, probabilmente, da selezioni genetiche realizzate nel tempo dagli agricoltori, ma le migliori caratteristiche derivano, oltre che dalle cure colturali, dall'ambiente; l'assenza di fibrosità e il sapore dolciastro, qualità organolettiche e morfologiche tipiche dell'asparago bianco di Bassano, sono infatti determinate dai fattori pedoclimatici della zona geografica di produzione che influenzano positivamente l'evolversi dei processi vegetativi.
I terreni, in primis: l'area bassanese è di origine alluvionale e i materiali detritici trasportati dalle acque correnti e depositati sulla pianura ne caratterizzano la composizione fisico-chimica; e quindi il terreno ha una tessitura di tipo franco o franco-sabbiosa, con un sottosuolo ricco di ghiaia, dotato quindi di una buona permeabilità e di una discreta presenza di sostanza organica; il PH si colloca su valori prevalenti di 6-6,5 (terreni sub-acidi). Queste caratteristiche influiscono positivamente sull'assenza di fibrosità, determinando l'ottenimento di turioni teneri e integralmente consumabili.
In secondo luogo il clima, che risente dell'influenza del fiume Brenta e della protezione delle prealpi e del massiccio del Grappa. Il clima dunque è mite, ventilato, non umido e influisce positivamente sulla sanità della coltura riducendo l'incidenza delle malattie crittogamiche.
La stagione estiva non siccitosa, la tessitura sabbiosa dei terreni, il sottosuolo ghiaioso e la conseguente assenza di ristagni di umidità sono poi elementi che contribuiscono allo sviluppo di un apparato radicale ampio e profondo. E queste stesse condizioni pedoclimatiche consentono, durante tutta la fase vegetativa, un'intensa attività di assorbimento di elementi nutritivi e di elaborazione delle sostanze zuccherine, che si protrae fino a ottobre-novembre. All'inizio dell'inverno, quindi, l'apparato radicale dell'asparago si presenta ben sviluppato e ricco di sostanze nutritive di riserva, che verranno mobilizzate alla ripresa vegetativa, con l'innalzamento primaverile della temperatura del terreno, consentendo lo sviluppo di germogli (turioni) di sufficienti dimensioni (calibro) ed interamente commestibili.
Gli asparagi che oggi conosciamo, siano essi bianchi, violetti o verdi, appartengono tutti alla stessa specie botanica, l'Asparagus officinalis L., appartenente alla famiglia delle Liliaceae, dell'ordine delle Liliiflorae, e il nostro Paese, con una produzione che si aggira attorno alle 30.000 tonnellate, si colloca al terzo posto nella produzione europea di questo nobile turione.
Tra le zone più fortemente vocate per la coltivazione degli asparagi, l'area del bassanese è da tempo riconosciuta come una delle più rinomate; e al di là di una lunga tradizione, riportata certo da storici, ma anche da diffusi detti e leggende che si fanno risalire fino al XIII secolo, la coltivazione dell'asparago nel territorio bassanese si è sviluppata soprattutto a partire dal secolo scorso e in particolare nel periodo successivo al secondo dopoguerra, in aziende contadine di piccole dimensioni, ma negli anni sempre più numerose vista la crescente richiesta di prodotto pregiato e l'alto reddito realizzabile.
Nel bassanese, i terreni leggeri, lungo il bacino del fiume Brenta, consentono la produzione di turioni bianchi, diritti, croccanti e privi di fibrosità, caratteristiche che li rendono molto pregiati e apprezzati soprattutto dal mercato locale. Tali caratteristiche qualitative però, non sono state corrisposte, soprattutto negli ultimi anni, da un conseguente e auspicato incremento della produzione, a causa principalmente della sempre più ridotta disponibilità di manodopera familiare e gli elevati costi che la coltura comporta (la raccolta non può che essere manuale).

Lo spigolo nord-ovest della provincia di Vicenza è occupato dalla valle dell'Astico, che ha in Arsiero il suo capoluogo. Qui si stacca la strada che inizia a risalire il versante esterno e presto giunge a un bivio. L'indicazione, a sinistra è per Posina e l'asfalto presto affronta la galleria che supera la stretta degli Stancari tra il Priaforà e il Cimone, nomi ben noti agli storici della Grande Guerra.
All'uscita è un nuovo paesaggio in cui domina il verde e dove l'acqua è protagonista. Un quadro intatto, quasi fuori dal mondo. Poco più avanti la strada si biforca: da una parte la valle di Posina propriamente detta, sovrastata dal gruppo del Pasubio, con il passo della Borcola, aperto sul Trentino; dall'altra la valle di Laghi, uno dei comuni più suggestivi della provincia, che vanta una specifica tradizione in materia di gnocchi. La zona ha fama soprattutto per le acque minerali e le trote, le prime sotto l'etichetta delle Fonti di Posina, le seconde elevate ad attrazione sportiva e gastronomica, cui vanno aggiunti per recente riscoperta i fagioli, di due varietà pressoché esclusive, Scalda e Fasola, e le patate, che nascono in piccoli appezzamenti di fondovalle o sulle terrazze disegnate al limite dei boschi.
Tornati al bivio iniziale, prendendo a destra si sale invece verso Tonezza del Cimone lungo la Direttissima, strada che mantiene fede al suo nome innalzandosi, intagliata nella roccia, con panorami mozzafiato sulla Val d'Astico. In un quarto d'ora, suppergiù, si raggiunge quota mille dove lo sguardo si acquieta in un altopiano di straordinaria bellezza: prati e contrade, boschi d'abeti e larici, su tutto il profilo dello Spitz di Tonezza, che rappresenta la cima più orientale dell'arco che parte dalle Piccole Dolomiti e tocca il Pasubio.
Tonezza è una tranquilla località di villeggiatura, che da qualche anno a questa parte si segnala per l'impegno nel recupero dell'agricoltura di montagna, a partire dalle patate, che riescono a meraviglia sui terreni di natura morenica. Alla coltura sono riservati appezzamenti che spiccano prima come riquadri scuri tra i pascoli, poi per il verde brillante e l'esplosione di fiori bianchi e rosa.
Posina e Tonezza, praticamente contigue per territorio, condividono l'intento di fare della natura la carta vincente del proprio futuro turistico. Questo vale anche nelle attività produttive e nella fattispecie per la produzione agricola che ha ripreso un certo vigore proprio puntando sul "naturale": insieme alle patate delle migliori varietà – Bintje, Desirée, Agria e altre – si coltivano fagioli borlotti, piselli e cavoli cappucci, che conoscono solo una concimazione tradizionale con stallatico e interventi colturali a basso impatto ambientale. Una produzione non ufficialmente "biologica", ma ragionevolmente al di sopra di ogni sospetto se consideriamo la cornice naturale e la serietà delle persone che la sostengono. In fatto di patate le cifre sono modeste – una trentina di produttori, in maggior parte "biologici", per un raccolto che complessivamente ammonta a 300 quintali – senza che questo sminuisca l'importanza dell'attività, visto il riscontro gastronomico offerto da 33 esercizi – ristoranti, trattorie e rifugi di 8 località del comprensorio – che s'impegnano a tenere in menu gnocchi rigorosamente casalinghi e altre specialità affini.
Quanto alle occasioni di turismo gastronomico, il principale appuntamento è la Festa della Patata Naturale, che ha luogo nei fine settimana a cavallo tra settembre e ottobre: l'occasione è ghiotta perché nei ristoranti della zona, a prezzi di favore, si possono degustare gnocchi in cinque varianti di sugo: burro e salvia, ragù, funghi porcini, pomodoro e basilico, quattro formaggi. Una manifestazione ben congegnata dal momento che alla buona tavola abbina la prospettiva di una passeggiata nella natura con guida locale: come a dire, prima si pecca, poi si espia. Più avanti, l'ultima di ottobre si sale per acquisti a Posina per la Mostra Mercato dei Prodotti Agricoli Locali. A patto di arrivare presto perché patate, fagioli e quant'altro ci mettono ben poco a prendere il volo.
Il versante occidentale dell'altopiano di Asiago è segnato da un profondo intaglio, la val d'Assa, chiusa da rupi verticali e ammantata da boschi che nascondono alla vista l'unico corso d'acqua rilevante che scende dalle alture sovrastanti. Sul ripiano che separa il ciglio settentrionale di questo canalone selvaggio dalla dorsale della Cima di Campolongo si stende una zona di verdi ondulazioni, un piccolo delizioso altopiano nell'altopiano, compreso tra gli 800 e i 1000 metri di quota. Lo attraversa la strada del Piovan, che stringe attorno a sé le poche contrade e poi scende in vertiginosi tornanti verso la Val d'Astico. Un campanile guida lo sguardo verso il centro comunale, Rotzo, che nel nome riassume origine e collocazione geografica: "roccia, rupe, scoglio", questo significa il termine rotz nella parlata dei Cimbri, la gente di origine bavarese – boscaioli, allevatori e contadini – che intorno al Mille fu chiamata dai vescovi vicentini a colonizzare l'altopiano.
A valle del paese si stende infatti la cosiddetta "campagna", la zona a migliore vocazione agricola per dolcezza del terreno ed esposizione. Il terreno reca chiari i segni della secolare opera dei contadini: le lastre di pietra che delimitano le proprietà secondo l'uso locale; i muretti a secco che bordano le stradine e i terrazzamenti creati per addolcire la pendenza; i cumuli di sassi risultanti dal dissodamento e ora nascosti dai cespugli.
Quanto alla patata, fu proprio l'abate Dal Pozzo, singolare figura di religioso animato da curiosità scientifica, a caldeggiarne la coltivazione, come si legge nelle sue Memorie Istoriche dei 7 Comuni, sottolineando che «le patate allignano da per tutto, ma fanno meglio in un terreno dolce leggero e sabbionico».
Quanto alle condizioni ambientali, l'elevata piovosità primaverile si abbina a temperature medie estive (18-20° C) in un quadro ottimale per lo sviluppo della pianta. L'escursione termica tra notte e giorno, inoltre, favorisce da una parte la concentrazione dell'amido, elemento nobile della patata, ostacolando dall'altra l'accumulo d'acqua. L'umidità ambientale, elevata soprattutto di notte, si rivela infine preziosa alleata nel momento in cui basta per mantenere il terreno alla giusta freschezza evitando sia le sofferenza da siccità sia eventuali eccessi nell'irrigazione che possono portare allo sviluppo di muffe.
Alla definizione delle caratteristiche organolettiche della patata di Rotzo contribuisce poi una pratica agricola fedele alla tradizione e proprio per questo quanto mai attuale, non a caso alla base del disciplinare di produzione messo a punto dal Centro Studi Qualità-Ambiente dell'Università di Padova nell'ambito del progetto di certificazione del marchio territoriale "Patata di Rotzo". Il processo prevede: a fine inverno l'aratura e la letamatura, preferibilmente con stallatico bovino maturo, in alternativa mediante sovescio di prato di leguminose; una successiva fertilizzazione integrativa con piccole quantità di concimi NPK (azoto, fosforo, potassio); la semina, tra marzo e aprile, con un investimento medio di 60-65.000 piantine per ettaro, vale a dire in file a 70 cm, con piante ogni 25; pratiche colturali con rincalzatura e irrigazioni secondo necessità; cure fitosanitarie solo se necessarie, ridotte al controllo di peronospora, dorifora e afidi, in ragione di uno o due trattamenti con prodotti a basso impatto ambientale; rotazione dei terreni con prati di leguminose e foraggere, con vincolo alla risemina a patate dello stesso appezzamento per non più di tre anni consecutivi, al fine di ridurre l'insorgenza di parassitosi e limitare lo sfruttamento del suolo.
Interessante il discorso della rassegna varietale che oggi, per disciplinare, comprende le seguenti varietà: Bintje (detta Olandese), la più coltivata, seguita da Spunta, Desirée, Monalisa e Primura. Un discorso che potrebbe meritare approfondimento è quello delle varietà tradizionali, con particolare riferimento alla produzione, documentata negli scritti del primo Ottocento, di una patata a buccia violacea, comunemente detta Nera, che veniva venduta con profitto sui mercati cittadini.
La coltivazione della patata, che ammonta ora a 3.500 quintali, è affidata a piccole aziende a carattere familiare riunite nella Associazione di produttori della patata di Rotzo.
La maggiore, l'unica specializzata, supera di poco i quattro ettari di superficie coltivata. È a questo gruppo, di concerto con la Comunità Montana e la Coldiretti, che si deve l'avvio delle procedure per ottenere la certificazione e il marchio territoriale "Patata di Rotzo" allo scopo di contraddistinguerla sul mercato ed evitare quindi possibili contraffazioni.
Quanto alle occasioni per una passeggiata nella "campagna" di Rotzo, nella bella stagione non c'è che l'imbarazzo della scelta. Alla fine di maggio, per esempio, la campagna è nel pieno del suo rigoglio: i prati pronti a essere falciati e i campi di patate che risaltano col verde scuro delle foglie sul chiaro del terreno rincalzato. Nel giro di pochi giorni la fioritura offrirà uno spettacolo bellissimo, con le distese di fiori bianchi e rosa. Si va per stradine bianche in giro per i campi, facendo tappa al Bostel, dove è stata ricostruita una capanna preistorica, e magari spingendosi fino all'Altar Knotto, un'enorme masso in bilico sul precipizio elevato a luogo di riti religiosi dai più antichi abitatori del luogo. L'appuntamento canonico, tuttavia, è per la Festa della Patata, che si tiene la prima domenica di settembre. Protagonisti sul fronte gastronomico sono gli gnocchi che meritano di essere assaggiati con il condimento di più antica tradizione, con burro, zucchero e cannella. Nella circostanza si serve anche la considera, una polenta preparata con patate, farina, strutto, cipolla e un po' di latte, abbastanza consistente perché più facile da consumare, al suono della tin tan nona, il concerto di campane che annunciavano l'ora del pranzo, un quarto a mezzogiorno, da parte di chi lavorava nei campi.
Il Basso Vicentino è per convenzione la pianura che attornia i Colli Berici, a sud di Vicenza e della linea di demarcazione rappresentata dalla Padana Superiore, la statale di collegamento con Verona da una parte e Padova dall'altra. Dal punto di vista agrario è un distretto di terre di origine alluvionale, ricco d'acque irrigue e per antica tradizione dedito alle colture orticole, patate e radicchio rosso quasi in simbiosi, nonché al tabacco. Il paesaggio è quello tipico della Bassa, con distese di campi a perdita d'occhio, dalle quali emergono, qua e là, il campanile di un paese e una villa. Una zona dove il confine di Vicenza incontra quelli con Verona e Padova, da cui dipendono rispettivamente Cologna Veneta e Montagnana, con cui Noventa fa ravvicinato triangolo, e dove anche la coltura della patata è vanto sovraprovinciale.
Ai primi del Novecento in queste distese di campi mosse da leggerissime ondulazioni la patata subentrò gradualmente alle coltivazioni presenti: prima a livello di autoconsumo familiare, poi come coltura da mercato e, come si era soliti dire, "di gran reddito". All'inizio gli agricoltori erano dubbiosi sulla possibilità di ottenere buoni raccolti di patata sui terreni argillosi della zona, ma ben presto fu chiaro che le Terre Rosse del Guà erano particolarmente vocate allo scopo garantendo, a prescindere dalla varietà seminata, un prodotto eccellente, reso ancor più attraente dalla particolare colorazione e lucentezza della buccia.
Il riscontro veniva dal mercato che riconosceva alla "Patata Dorata del Guà", come si prese a chiamarla, prezzi superiori di quelli dei tuberi prodotti nelle zone limitrofe o anche nella stessa area, ma su terreni sabbiosi. Proprio in quegli anni aveva inizio, su basi empiriche, la selezione genetica della semente, proseguita poi, come s'è detto, con tecnologie d'avanguardia dall'Istituto "Strampelli" di Lonigo. Il pieno sviluppo della coltura si aveva con la progressiva estensione della rete irrigua, che oggi copre praticamente tutto il territorio. Le sorti odierne della coltura sono rette in massima parte dall'A.p.pa. (Associazione tra Produttori di Patate), che riunisce cooperative e singole aziende e controlla la produzione di circa 600.000 quintali di patate destinate al mercato del fresco. Una realtà associativa di prim'ordine dal punto di vista sia tecnologico sia commerciale. La filiera è gestita in ogni sua fase con il massimo delle attenzioni, dalla produzione di semente certificata indenne da virus, alle operazioni colturali, altamente meccanizzate, fino alla confezione, con immagine e packaging appositamente studiati.
La certificazione, come pure l'adozione del marchio commerciale "dorata", nasce dalla necessità di identificare il prodotto sul mercato, contrastando la tendenza della grande distribuzione a presentarlo in modo indifferenziato o sovrapponendovi un'etichetta propria. Dal punto di vista pratico alla base della certificazione di qualità è l'adozione di un disciplinare di produzione finalizzato alla qualità e al soddisfacimento di ogni uso di cucina. Tra i primi requisiti del prodotto vanno citate le caratteristiche esteriori propriamente dovute alla natura delle Terre Rosse del Guà: forma allungata del tubero; occhi superficialissimi, quasi impercettibili; buccia chiara, liscia, pulitissima, con la caratteristica doratura. Quanto alla rassegna varietale, le prescrizioni tengono conto dei progressi nella selezione: negli anni Novanta primeggiava la Primura (70%), seguita da Monalisa (10%), Liseta (5%) e Alba (1%); oggi la scelta varietale può essere cosi sintetizzata: Agata (60%), Primura (40%), Liseta (4%), Marabel (3%), Vivaldi (2%), Alba (1%).
Per sperimentare la bontà della Patata Dorata non è necessario mettersi in viaggio alla volta delle Terre Rosse del Guà, perché la si trova facilmente in commercio, ma è raccomandabile perché la gita nel Basso Vicentino merita. Chi vuole avere un alibi culturale non ha che da scegliere tra due celebri ville di Andrea Palladio, inserite dall'Unesco nel patrimonio mondiale dell'Umanità: villa Pojana, nel centro omonimo, una delle realizzazioni più singolari dell'architetto, villa Saraceno, ad Agugliaro, notevole anche per un ciclo di affreschi e Villa Pisani a Bagnolo, nelle campagne di Lonigo.
Noventa Vicentina ha doppia valenza, culturale e gastronomica, che si apprezza in ogni momento dell'anno, vista la buona compagine di ristoratori, ma in maniera specifica in occasione della Mostra dei funghi e dei prodotti autunnali, che si tiene nella prima decade di ottobre. E per una par condicio gastronomica, appena oltre il doppio confine, ecco Montagnana, delizioso borgo murato, celebre per il suo prosciutto, e Cologna Veneta, cittadina elegante, con specifica fama per il mandorlato, a chiudere il triangolo delle tre province della Patata Dorata delle Terre Rosse del Guà.

Il monte Faldo è la cima d’avvio della dorsale lessinea che segna lo spartiacque tra le valli dell’Agno e del Chiampo: 807 metri di quota e ancora oggi una vegetazione boschiva che ha storico riscontro nel toponimo di Selva di Trissino. Laddove il terreno collinare è stato sgombrato per dar spazio all’agricoltura, il contesto si rivela ideale per l’orticoltura grazie alla natura del suolo, per lo più di origine vulcanica, dunque assai mineralizzato, e al clima, reso fresco dalle correnti che discendono dalle Piccole Dolomiti, con adeguata piovosità estiva. L’escursione termica tra notte e giorno, in particolare, favorisce da una parte la concentrazione dell’amido, elemento nobile della patata, ostacolando dall’altra l’accumulo d’acqua. La produzione è documentata fin dai primi dell’Ottocento e ancora oggi è affidata ad aziende a carattere familiare, che praticano un’attività di tipo tradizionale, con concimazioni naturali e ricorso alla rotazione delle colture per ottenere sempre il meglio dal terreno.
Le varietà attualmente prodotte sono Bintje, Kennebec, Desirèe, Monalisa, Kurova e Vivaldi che nell’insieme coprono tutte le esigenze, dagli gnocchi, che richiedono tuberi a pasta farinosa, alle insalate, di caratteristiche opposte. La quantità prodotta ammonta a 1200 quintali annui, con un confortante incremento nelle annate più recenti. Questa, la produzione prevalente, che verrà commercializzata in pezzatura compresa tra i 4,5 e i 15 centimetri, entro sacchi etichettati con il logo della Denominazione Comunale.
Poi c’è una vera e propria rarità: una patata dalla buccia nera e dalla polpa viola, che gli agronomi dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria di Lonigo hanno definito una sorta di reperto archeologico. Diffusa secoli addietro nell’Europa Centro-Settentrionale, c’è da chiedersi come sia arrivata nelle valli vicentine, ma soprattutto per quali singolari circostanze sia passata di mano in mano fino ad oggi. Infine, la singolare produzione di patate dette ‘uvi de galo’, uova di gallo, con malizioso riferimento alla piccola pezzatura, ideali come contorno delle carni arrosto.