Il manipolo di produttori maranesi capitanati da Giandomenico Cortiana – che hanno in paese un mulino del XIII secolo, cui affidano la macina dei preziosi grani rossi – ha una convinzione precisa: puntare sulla qualità paga. Vanno avanti su questa strada e non demordono. Non si fanno incantare dalle sirene della produzione intensiva. Sanno benissimo che il mercato del mais Marano è potenzialmente sterminato, sì, ma non è alla loro portata. Un conto è intensificare la produzione, obiettivo che perseguono con determinazione, un altro è gettarsi su un mercato agroalimentare incontrollabile. La sfida è improponibile. Non ci sono i numeri. E alla fine ci perderebbe solo la qualità. Cioè loro.
Ciononostante, il consorzio di produttori punta su un'espansione ragionata della coltivazione di mais. Un controsenso? No. Il mercato c'è, basta organizzarsi. E dovrebbe essere proprio la leva finanziaria a motivare nuovi investimenti: la semente del mais Usa costa molto meno, è vero, ma rende anche assai meno del mais Marano, che arriva a far incassare un milione per il raccolto di un campo.
Ma c'è anche un'altra direzione di sviluppo: l'agricoltura biologica. Già oggi un terzo dei produttori e un terzo dei terreni del consorzio sono dedicati alla coltivazione biologica del mais. Che, se è più pregiata comporta anche una diminuzione di circa il 30% del prodotto: da ogni campo si ricavano 10 quintali di mais Marano biologico (cioè 25 per ettaro) al posto dei consueti 15. Anche se la coltivazione biologica è assai più complicata e faticosa (il raccolto deve essere fatto a mano, sono vietate le mietitrebbie…) in teoria la domanda è immensa e finora non ha trovato risposte sul mercato. Spiegano al consorzio che non sono in vendita farine biologiche di mais per polenta. Quella di mais Marano potrebbe essere la prima.